(Una storia raccontata ed una mappa) di Dario Sironi
Il territorio contemporaneo, il paesaggio, è l’espressione del vivere quotidiano, ma anche il deposito di tutti i sedimenti umani (belli e brutti), delle stratificazioni storiche e della memoria. L’architettura nasce dalle relazioni che si vogliono stabilire tra il luogo, il paesaggio, e la nuova opera, che realizzandosi, inevitabilmente lo trasforma. Il concetto di «paesaggio» è quindi prettamente umano, senza antropizzazione, viene meno questa definizione. Per sua natura il “governo del paesaggio” è un atto prettamente politico e sociale, come lo è, di fatto, ogni architettura, restituzione “plastica” di ogni epoca storica.
Cosa è il paesaggio? Soprattutto, è possibile, fare di esso, una “regia pubblica” verso una sua “mutazione controllata” che sfugga alla casualità della banale sommatoria cacofonica di singoli contenitori architettonici, o di parti tra loro realizzate in epoche diverse, magari da “archistar”, ognuna con una sua poetica autonoma? Quale occasione migliore di Sesto San Giovanni (settima città di Lombardia con i suoi 81.841 abitanti), che ha in riqualificazione, aree dismesse per oltre un decimo del suo territorio comunale, per discutere delle relazioni tra architettura, paesaggio e della sua trasformazione. E’ questa una “piccola guida breve”, assolutamente parziale e personale, di quello che è stato, quello che sta avvenendo, e soprattutto di quello che sarà del “paesaggio urbano” sestese.
Nel 1993, a 33 anni, dalla realtà “verdeggiante” della città giardino su modello inglese di Milanino in cui sono cresciuto, mi sono trasferito a vivere ed a professare l’architettura, a Sesto San Giovanni, avendo convolato a nozze con una sestese. Allora erano ancora attive le Acciaierie Falck: e gli altoforni, proiettavano in cielo dense nuvole di fumo nero. Fumi così gravidi di polveri, che a lasciar fuori l’auto al mattino, la si ritrovava alla sera, completamente rivestita da uno strato più o meno denso di polvere nera. Polveri, che inevitabilmente respiravano (h 24, visto che gli altoforni non si fermavano mai) per fallout tutti gli 86 mila residenti di allora, dislocati attorno ai recinti delle fabbriche. Provenire da una realtà molto diversa, politicamente fluida, costruita su un’idea soprattutto residenziale, dove il verde, il paesaggio s’integravano perfettamente con l’architettura, ed essere proiettato nella “Città delle Fabbriche”, che cresceva in modo esponenziale, chiusa a riccio attorno un’idea di socialità e di “mondo” (che iniziava a sgretolarsi dopo la caduta del Muro di Berlino avvenuta nel 1989), fu un trauma ed uno stimolo non indifferente.
L’amministrazione comunale sestese era saldamente “tenuta in maniera granitica”, dal Secondo Dopoguerra, dalla “sinistra”. L’allora sindaco Fiorenza Bassoli (1985/1994, prima donna sindaco sestese), amministrava la città sotto il simbolo del Partito Comunista Italiano (PCI), con un consenso “bulgaro”.
Sesto San Giovanni, veniva comunemente definita “La Stalingrado d’Italia”, e chi non era nato in casa o all’Ospedale di Sesto, veniva guardato quasi con “sospetto” dagli “autoctoni”. Si parlava allora, come oggi, con orgoglio e distinzione della “sestesità”.
Nel 1994, venne eletto per il Partito Democratico della Sinistra (PDS), Filippo Penati (1994/2002), a cui succedette Giorgio Oldrini (2002/2012) per i Democratici di Sinistra (DS), e poi Monica Chittò (2012/2017), a marchio Partito Democratico (PD). Nel 2017, l’erede designata di Oldrini, Monica Chittò, ripresentatasi per il secondo mandato (come usanza), perse la città dopo oltre 72 anni di amministrazione di fatto monocolore e continuativa.
A queste quattro amministrazioni, tutte di “sinistra”: Bassoli, Penati, Oldrini e Chittò, si deve la gestione urbanistica, politica e sociale, della dismissione delle acciaierie (e del relativo indotto). A partire dalla fine degli anni Ottanta, più di un decimo (1,4 km²) della superficie comunale (circa 12 km²) è di fatto in trasformazione. La più grande riqualificazione urbanistica europea. Un’occasione generazionale unica per poter invertire i destini urbanistici ed ambientali cittadini. A queste quattro amministrazioni si deve la mancanza di coraggio, per una “visione urbanistica ed architettonica” diversa, da quella imposta dagli architetti, pur di qualità (Botta, Piano, Foster) assoldati dagli immobiliaristi che si sono succeduti. Tutti : amministratori ed ovviamente operatori, hanno concordato strumenti urbanistici con indici territoriali e volumetrici “folli”, che, se attuati completamente, porteranno l’attuale densità cittadina, tra le più alte di Lombardia e d’Italia di 6.956,67 ab./km² (il rapporto tra numero di residenti e superficie), a ben oltre gli 8.000 ab./km². Densità, che è anche portatrice d’inquinamento dell’aria da micropolveri sottili, e come dimostrato, particolare virulenza della recente pandemia; facendo crescere in maniera esponenziale i morti sia per virus che per patologie legate alle vie aeree.
Certamente non si è guardato a “soluzioni urbane” come a Freibug am Brisgau in Germania nel quartiere Vauban o nel quartiere Hammarby di Stoccolma, ma si è lasciato fare al privato, con indicazioni limitate, quantitative e non qualitative, e soprattutto mancanza d’idee da parte del pubblico.
Le attività legate alla siderurgia nelle aree Falck ebbero inizio nel 1906, su un’area precedentemente ad uso agricolo ed in parte boscata, di proprietà della famiglia Falck. La famiglia Falck, a cui si deve il nome di queste aree, di origine alsaziana, imprenditori (ingegneri) specializzati nella produzione di acciaio, erano giunti in Italia nel 1833, per la precisione a Dongo, sul Lago di Como. Nei primi anni del Novecento, acquistano 12 ettari a ridosso della ferrovia, a Sesto San Giovanni (allora un piccolo borgo agricolo costituito da poche cascine), dopo aver costituito a Milano, la “Societa’ Anonima Acciaierie e Ferriere Lombarde”. I terreni servono per costruire un nuovo complesso moderno per la produzione dell’acciaio. Di quegli anni rimane oggi a Sesto, dei tralicci di edifici produttivi enormi, svuotati dai macchinari dai cinesi che se li sono comprati; ed il “Villaggio” Falck alla Pelucca, una piccola Città-Giardino per i dipendenti e gli operai, iniziato ad edificare nel 1908, che ha come riferimento il paternalismo aziendale anglosassone. Una realizzazione di qualità architettonica e paesaggistica, con molti spazi verdi pubblici. Il Villaggio Falck è stato realizzato in epoche diverse e include diciotto fabbricati residenziali. Dagli anni Venti si realizzarono le prime dieci unità di due piani, dotate di giardino, orti e lavatoi. Nel 1935 il villaggio fu ampliato verso est con l’inserimento di altri due edifici e con la realizzazione di servizi per la popolazione quali, ad esempio, il Circolo San Giorgio.
Tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, le Acciaierie Falck arrivarono a produrre fino a 1,2 milioni di tonnellate d’acciaio, e divennero il primo produttore privato italiano. L’impiego di personale rimase pressoché costante, oscillando tra i 15.000 impiegati del 1947 e i 13.000 del 1970. Agli inizi degli anni Sessanta, Falck raggiunse a Sesto San Giovanni la massima espansione territoriale: tre milioni di metri quadri di superficie.
Nel 1964 gli stabilimenti raggiungono il massimo livello di occupazione, al punto che danno un posto di lavoro, complessivamente a oltre 16.000 dipendenti.
Alla fine degli anni Ottanta, inizia una lunga e sofferta stagione di crisi del mercato siderurgico europeo, causata soprattutto dalla forte concorrenza dei poli siderurgici extracomunitari. La Falck aderisce ad un piano Europeo di dismissione della produzione d’acciaio.
Da allora, sommariamente la vicenda urbanistica di queste Aree Falck, può essere così riassunta:
1993. Il PRG di Vittorio Gregotti e Augusto Cagnardi conferma la destinazione industriale delle superfici occupate dalla società siderurgica Falck.
1995. Gli impianti siderurgici sono smantellati. La proprietà affida a Kenzo Tange un masterplan per la trasformazione del comparto.
1997. L’Amministrazione comunale sottoscrive una prima intesa con la proprietà e con l’Agenzia Sviluppo Nord Milano per la riqualificazione urbanistica.
1998. L’Amministrazione comunale e la proprietà promuovono un concorso d’idee per un parco urbano, vinto dal gruppo guidato da Paola Viganò.
2000. L’Amministrazione comunale adotta un nuovo PRG che modifica la destinazione d’uso delle aree, cedute a dicembre dal gruppo Falck ai fratelli Pasini per 341 miliardi delle vecchie lire.
2001. Il gruppo Pasini commissiona un Programma integrato d’intervento che incontra le resistenze dell’amministrazione comunale.
2002. Il gruppo Pasini incarica Mario Botta di elaborare un nuovo progetto.
2005. Risanamento Spa acquista per 218 milioni di euro dal Gruppo Pasini la società immobiliare Cascina Rubina, proprietaria delle aree.
2006. Renzo Piano (RPBW) presenta al pubblico il nuovo masterplan.
2008. Risanamento tratta la vendita delle aree con il fondo Dubai Limitless.
2009. La Procura di Milano deposita un’istanza di fallimento nei confronti di Risanamento Spa. L’Amministrazione comunale sestese approva il nuovo PGT (Piano di governo del territorio).
2010. Risanamento Spa cede per 405 milioni di euro le aree a Sesto Immobiliare Spa, amministrata da Davide Bizzi.
Nell’ottobre del 2010, Risanamento, ormai di proprietà delle banche creditrici di Zunino, vende per 405 milioni di euro l’intera area Falck di Sesto San Giovanni, alla cordata immobiliare capitanata da Davide Bizzi, denominata “Sesto Immobiliare”. Il progetto, porta alla creazione del più grande progetto europeo di riqualificazione urbana di ex aree industriali che punta a ridisegnare l’intero territorio di Sesto. Il cantiere comporterà nuova occupazione per circa 3.000 lavoratori per un periodo di dieci anni. Una volta completata la riqualificazione sull’intera area dovrebbero trovare lavoro più di 3.500 addetti e circa 15.000 nuovi residenti.
All’inizio dell’anno 2020, il 100% di Milanosesto è stato acquisito da Hines/Prelios per circa per una cifra pari a 50,6 milioni di euro. Ad ogni passaggio di proprietà le ex Aree Falck, hanno un consistente aumento di volumetria, a scapito del verde pubblico. L’ultima “chicca” prodotta dalle giunte di centrosinistra, la collocazione nel parco urbano promesso ai cittadini sestesi, della “Città della Salute e della Ricerca” (nel 2013), riducendo il verde pubblico di ben 200 mila metri quadrati trasformati per sempre ad attività sanitarie. Il progetto voluto dall’amministrazione comunale di centrosinistra e dalla Regione Lombardia, del valore di circa 450 milioni di euro (ultimo regalo di Formigoni nel 2013) è a firma di Mario Cucinella. 11 febbraio 2020, dopo cinque lunghi anni, ecco la firma dell’appalto della Città della Salute e della Ricerca, tra ricorsi al Tar e Consiglio di Stato, pareri dell’Anac, concordati preventivi e vertici azzerati e poi rinominati di Condotte. Con una gara chiusa, e poi riassegnata da una nuova commissione, dopo l’inchiesta sulla cupola degli appalti per Expo 2015. A Palazzo Lombardia è stato firmato il contratto di concessione per 27 anni tra Cisar-Condotte, aggiudicataria della commessa da 450 milioni di euro, i due Irccs (Istituto dei Tumori e Neurologico Besta), Infrastrutture Lombarde, ministero della Salute e Comune di Sesto San Giovanni. Tutto pronto per il 2024.
Invece per le ex Aree Falck, con Prelios/Hines, oggi si punta tutto su un’altra archistar, Sir Norman Foster (quello del parziale “fallimento progettuale” di Santa Giulia), già circolano in rete render e stralci ultra-verdeggianti e super eco-sostenibili del masterplan (Corsera 23/01/2020). I nuovi residenti si stima saranno circa 15/20 mila (i primi insediati nel 2025), mentre saranno oltre 10 mila gli addetti (ai centri commerciali, agli ospedali ed al servizio delle residenze), l’investimento complessivo per tutto il piano, ammonta a circa 1 miliardo e 300 milioni euro. Di certo l’unica cosa per ora garantita è che aumenterà ulteriormente la già alta “densità urbana”, ed anche l’inquinamento da micropolveri sottili a livello locale, sia durante i cantieri e sia una volta insediati residenti ed addetti. Come scrive qualcuno nei social, bisognerebbe avere avuto in passato la “cura” di trasformare i veleni insediati nel sottosuolo (e respirati dai residenti nel corso del tempo) delle ex acciaierie Falck in opportunità, in un vuoto urbano per dare un futuro diverso ai cittadini e ad un suolo stesso, vilipesi e “gassati” per decenni; magari occupando questo suolo solo parzialmente, sui bordi. Le ex aree Falck andrebbero principalmente lasciate non occupate, verdi, con un atto di coraggio e di lungimiranza per le generazioni future. Per farle RESPIRARE, per lasciarci a tutti, almeno una SPERANZA……. Un compito che non compete esclusivamente all’architettura, né all’urbanistica, ma certamente alla politica, di cui le due discipline sono espressione operativa.
Ma l’architettura sestese, al di là dell’urbanistica, che però si porta dietro necessariamente un’opzione architettonica (Tange, Botta, Piano, Foster) nel frattempo che fine ha fatto? A parte un noto architetto locale, che ha riempito la città di una serie cacofonica di edifici, che sembrano, scelti da riviste d’architettura datate: l’architettura, quella di qualità, sembra a Sesto San Giovanni, una “lingua morta”, se si escludono piccoli esempi puntiformi.
Nemmeno Mario Botta, nella riqualificazione dell’ex area industriale Campari, nel 2009, riesce a sfuggire al suo “Daimon” fatto di stilemi geometrici e materici (https://bit.ly/2ZxAvfE) da sempre ricorrenti.
Eppure proprio a Sesto San Giovanni, quel grande architetto ed intellettuale milanese che era Giancarlo De Carlo, che non ha mai costruito nulla nella sua città, aveva realizzato ancor giovane (dopo una collaborazione con lo studio Albini), in via Fratelli di Dio, all’inizio degli anni Cinquanta, un “quartierino” di case popolari a ballatoio, sicuramente interessante dal punto di vista architettonico (oggi ampiamente rimaneggiato https://bit.ly/2WgMA6P). Sempre di quegli anni, 1955/57, il colto ed innovativo Quartiere CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) di casette a schiera di via Catania, progetto BBPR (https://bit.ly/30FCw8W).
Sarà poi, sempre il milanese Piero Bottoni, nel 1962 a redigere il primo Piano Regolatore Generale (P.R.G.), con la finalità di assicurare qualità all’abitare, sia all’agglomerato cresciuto disordinatamente prima e dopo la guerra, sia a quello nuovo previsto a est del vecchio borgo (soprattutto di edilizia economica popolare ex Legge 167), ma in modo da evitare che si configurassero come parti separate di un organismo che si voleva saggiamente unitario. Gli stessi criteri saranno alla base del Nuovo PRG del 1973, inizialmente studiato da Bottoni, ma da lui non concluso per la morte sopraggiunta nello stesso anno.
Poi c’è come un “vuoto” d’idee architettoniche la città viene definita nel suo “paesaggio urbano”, soprattutto negli anni Sessanta, da una serie di contenitori residenziali, con decine di appartamenti, di edilizia economica popolare. Molti di questi immobili fungono da scenografie di alcuni film e video musicali; come il palazzone con terrazza di via Maffi, a Sesto San Giovanni, per il film “Romanzo Popolare” del 1974, di Mario Monicelli.
A Bottoni, si deve anche, tra il 1961 ed il 1971, la realizzazione dell’interessantissimo Municipio; un’opera che sfugge ad una classificazione stilistica, ed è anticipatrice di molte poetiche architettoniche, che pervaderanno la disciplina nei decenni successivi (https://bit.ly/2DF3hlL). L’apparente razionalità dell’architettura è sistematicamente “rotta” da una serie di provvedimenti architettonici, atti a farla diventare interprete, oltre che della sua interna logica costruttiva, anche e soprattutto, delle ragioni di un contesto urbano, che ha nel verde, nel contrasto tra volumi orizzontali e verticali, nel sistema di piazze, le sue “stelle polari”.
Sempre di questi anni, ma come esempi di un costruito residenziale di altro livello: il così detto “Colosseo”, in Viale Ercole Marelli 19 che consta di centinaia di appartamenti; oppure le due interessanti Torri residenziali di via XXIV Maggio 35, dell’architetto G. Castellucci e dell’Ingegner C. Remuzzi (1972). Edifici che palesano gli indici urbanistici “folli” imposti nei P.R.G. dalle giunte di “sinistra” e di “centrosinistra”.
L’architettura cittadina, e l’urbanistica, sono come state, in questi ultimi decenni, abbacinate dalla “fregola” per la riqualificazione delle ex Aree Falck, che oltre a portare le archistar già citate, hanno come “sterilizzato” il dibattito, e distratto da ogni opzione alternativa, architettonica, urbanistica e politica, possibile.
Forse solamente la piccola ristrutturazione di un’ala della corte di “Cascina Gatti”, ma siamo già nel 2015, persegue nella ricerca di un’architettura innovativa ed ecologica, degli architetti Mascazzini & Guarnieri (https://bit.ly/38XCUTO – https://bit.ly/391yJGo), una possibile strada innovativa, legata all’ecologia ed al riciclo, per il “paesaggio architettonico” sestese; insieme alla molto più scontata e modaiola, ma sempre interessante, chiesa della Parrocchia “Resurrezione di Gesù” in via Pisa, realizzata da Cino Zucchi nel 2010.
Nel 2018 apprezzabile ricostruzione a firma Guidarini & Salvadeo architetti, di 46 unità abitative ALER, in Via Catania, dopo l’abbattimento della così detta “Casa di Plastica“, edificato innovativo dal punto di vista tipologico e materico, realizzato negli anni Sessanta dall’Architetto Mario Scheichenbauer. Va inoltre sicuramente citato, il “Carroponte” dell’architetto Luigi Cucinotta, del 2006, una sapiente rivisitazione di un capannone industriale nell’area ex Breda – Cimimontubi. Una struttura per spettacoli ed eventi (di notevole successo), circondata da un parco pubblico, che di notte acquisisce grazie ad un impianto d’illuminazione a LED, un’insolita valenza architettonica.
Sono tutti degli episodi, che non definiscono quel manufatto compatto, quel dispositivo geometrico e funzionale per la vita umana e sociale, che coltivi e mantenga un contrasto chiaro con il paesaggio: che è Città.
Come scrive Magnago Lampugnani Vittorio, nell’articolo “La città non è il paesaggio”, in Domus 1048 del luglio 2020: «L’urbanistica non è tanto colpo di genio, quanto paziente costruzione su fondamenta in parte esistenti e in parte ancora da creare. […] Questa configurazione fisica, cioè la forma della città, deve rispecchiare e indirizzare la vita dell’uomo, rendendola sicura, produttiva, sociale, creativa e gioiosa. Per quanto riguarda la natura circostante (se ancora esiste, poco o non antropizzata), la città non la deve integrare o addirittura inglobare. La deve soltanto lasciare il più possibile in pace». In tal senso bisogna tornare a stabilire rapporti, sinergie e legami tra le discipline dell’urbanistica e dell’architettura, che oggi sono sempre più lontane. Ciò è quanto mai necessario soprattutto a Sesto San Giovanni, dove non si è mai adottata una “buona pratica” in tal senso.
Un dibattito interessante, per noi architetti mai apertosi veramente in città, è il ruolo della definizione di un “Paesaggio Urbano”, architettonico ed urbanistico, in grado di sanare l’inevitabile differenziazione territoriale ed architettonica che tali ingenti trasformazioni necessariamente indurranno. Se in passato, l’edilizia economica popolare, e l’urbanistica ad essa correlata, consentivano di generare di fatto un controllo pubblico di queste trasformazioni (Bottoni con il suo PRG del 62 “docet in merito”), oggi chi amministra è quasi in totale balia dell’operatore privato, dal punto di vista della definizione qualitativa di un paesaggio urbano, che è poi “subito” da tutti i cittadini, per parecchie generazioni. Le trasformazioni, parziali, fin qui attuate testimoniano di questa “incapacità”, e della sudditanza reale e psicologica in atto: il centro commerciale Falck “Vulcano” (di un’architettura di pessima qualità), Le case di Via Martiri delle Foibe (un brano urbano banale ed abbandonato nel nulla), Il complesso GE Grid Solutions (in zona di sensibilità paesistica, senza nemmeno una Pelle” che lo definisca meglio), il complesso di terziario/produttivo di via Alberto Falck (architettura banale e sganciata dal contesto). E per finire il complesso edilizio di appartamenti “Univillage” di via Gaetano Lovati alla “Bergamella”, una vera e propria cacofonia architettonica, che “inquina” ulteriormente il paesaggio (una volta agricolo) dell’antico borghetto di Cascina Gatti, già “impreziosito” (si fa per dire) dalle volumetrie e dalle ciminiere tecnologiche del termovalorizzatore di rifiuti CO.RE., e dai tralicci dell’alta tensione ad esso connessi.
In questi decenni, dal mio trasferimento da Cusano Milanino, non ho mai costruito nulla a Sesto San Giovanni, nemmeno una parete divisoria, pur avendo costruito in altre realtà: Municipi, Mediateche, edifici residenziali, ecc.. Ho anche cercato più volte, di essere ammesso quale membro della Commissione del Paesaggio comunale; ma sia con la “sinistra” (nel 2013), che con la “destra” (nel 2018), hanno rifiutato la mia candidatura, pur avendo un curriculum in merito più che degno, che in altre realtà amministrative contigue, mi consente di fare (da decenni) il membro ed addirittura il Presidente di tali commissioni. Sarà forse per la mancanza di quella “divina sestesità” che si ottiene solo per nascita.
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Qui il LINK ad una mappa che evidenzia gli edifici e le parti urbanisticamente “eccellenti e meritevoli di attenzione” dal punto di vista paesaggistico/architettonico del territorio cittadino di Sesto San Giovanni, trattate nell’articolo-itinerario.